“These days you look at the surface Web, all that yakking, all the goods for sale, the spammers and spielers and idle fingers, all in the same desperate scramble they like to call an economy. Meantime, down here, sooner or later someplace deep, there has to be a horizon between coded and codeless. An abyss.”
Thomas Pynchon, Bleeding Edge, 2013
Il World Wide Web è il volto familiare di Internet, la rete navigabile tramite i comuni browser che interroghiamo ogni giorno in cerca di informazione, interazione, impegno, affari o intrattenimento. Nonostante conti ad oggi quasi quattro miliardi e mezzo di pagine [1], lo spazio che ci è permesso esplorare liberamente è limitato alla sola superficie, dove ogni risorsa è identificata da un indirizzo che ne definisce la localizzazione informatica.
Questa zona emersa è paragonabile alla punta di un iceberg; sotto di essa, dal volume dieci volte maggiore, si trova il cosiddetto Deep Web, ossia la massa di rete non indicizzata dai motori di ricerca: nuove pagine in contruzione, siti privati, archivi aziendali, e così via. E’ immergendoci ancora più in profondità che raggiungiamo il Dark Web, accessibile solo tramite software specializzati in grado di garantire l’anonimato durante la navigazione. Qui si svolgono molte delle attività bandite alla luce del sole: spionaggio industriale, cospirazione politica, traffici illeciti di armi e droga. Qui si trovano migliaia di immagini che non è possibile visualizzare altrove, in nessun angolo del nostro mondo iperillustrato, sorvegliato e connesso.
Seguendo questo tortuoso percorso a spirale (paragonato da alcuni anche all’inferno dantesco) giungiamo agli spunti di analisi che Giorgio Di Noto ci offre con The Iceberg: un progetto che, attraverso l’appropriazione e rielaborazione di materiale fotografico prelevato dai siti di commercio di droga presenti nel Dark Web, apre una finestra sul lato oscuro – o meglio, invisibile – dell’immagine in rete.
Il primo input ci viene fornito dal titolo stesso, che ricalca la metafora utilizzata per descrivere la struttura del web sommerso. E’ utile sottolineare come, in una società sempre più virtuale, in cui le immagini si sono quasi completamente affrancate dalla dimensione materiale, la conoscenza del mondo passi in misura crescente attraverso la formulazione di analogie dotate di una forte “fisicità”. Benché l’uomo abbia da sempre fatto ricorso alle similitudini per comprendere la realtà, la cultura digitale ha portato questo processo di trasferimento di senso a un nuovo livello di condivisione, veicolando su scala mondiale l’interpretazione dei fenomeni intangibili propri delle correnti rivoluzioni tecnologiche tramite figure retoriche legate all’ambito naturale o antropologico. Si pensi al riferimento corporeo, quasi primitivo dell’espressione “villaggio globale”, coniata da Marshall McLuhan nel 1964; o al significato originario della parola Facebook e alle implicazioni dell’oggetto da cui deriva la sua struttura (vale a dire, un annuario fotografico distribuito in molte scuole superiori degli Stati Uniti, un elemento fondamentale dell’esperienza sociale e della cultura studentesca americana).
Questo è per Di Noto il punto di avvio di uno studio sulla rappresentazione dell’immagine e sulla traduzione del suo fenomeno, prima ancora che sull’immagine stessa; interesse che lo ha guidato anche in precedenti lavori. La complessità del gioco di scatole cinesi che costituisce l’armatura del Dark Web è trasferita in mostra sia nelle singole stampe che nella struttura dell’intera installazione: il progetto nasce interattivo e labirintico come logica conseguenza della natura instabile, composita e laboriosa del web sommerso e dell’immaginario in esso contenuto.
Sotto questo aspetto, The Iceberg può essere considerato un doppelgänger tangibile di un fenomeno immateriale, criptato e sotterraneo. Ci si aggira tra le immagini delle sostanze illegali facendole emergere dal buio una alla volta, forniti della stessa luce UV utilizzata per rivelare le tracce di alcuni tipi di stupefacenti nelle indagini antidroga. Altrettanto significativamente, la visione di insieme ci è sempre negata, anche e soprattutto nei momenti di luce diretta, in cui solo le fotografie presenti sia sotto che sopra la superficie del web rimangono visualizzabili, rappresentando un punto di congiunzione tra i due mondi.
Mentre ci si addentra nell’esplorazione di The Iceberg, torna alla mente il termine arcontico utilizzato da Jacques Derrida in Mal d’archivio per definire archivi in continua espansione e mai completamente chiusi. Nell’universo telematico, dove ogni singolo elemento è cifrato, sussistono in realtà una impossibilità di calcolo definitivo e una indeterminatezza di base che la letteratura ha già ampiamente affrontato, e che l’arte, specialmente in ambito fotografico, sta trasferendo in nuove forme estetiche e narrative.
[1] Dati aggiornati al 10/03/2017, fonte http://www.worldwidewebsize.com